cos'è la cooking therapy e il suo potere curativo?
La cooking therapy è una forma di terapia accessibile a chiunque: basta munirsi di qualche ricetta e un paio di ingredienti e saremo aiutati a combattere ansia, depressione, disturbi alimentari, mancanza di autostima, ma anche problemi neurologici e motori!
Cucinare fa bene all’anima, al corpo e alla mente e aiuta a sviluppare la consapevolezza di sé.
La cooking therapy
l’ingrediente segreto del benessere
Ho scoperto la cooking therapy da giovanissimo, in un modo totalmente inaspettato: non leggevo ancora molto a quell’età, ma un giorno mi sono trovato per caso in una libreria.
Guardavo con disattenzione tutte quelle copertine colorate senza nemmeno leggere veramente i loro titoli, fino a quando non mi sono ritrovato un piccolo libro tra le mani.
Aveva un titolo magico e misterioso, un titolo che per la prima volta era stato in grado di affascinarmi come mai nessun altro aveva fatto. L’ho comprato.
Non c’è bisogno che io vi racconti altro se non che quel libro mi ha risucchiato in un vortice potentissimo: raccontava le storie personali di un gruppo di persone che, incontratesi in un corso di cucina, erano riuscite a sciogliere i traumi della loro vita e le loro difficoltà psicologiche grazie alla cucina.
Persone che avevano ritrovato in questo ingrediente segreto la forza di ritornare a vivere con equilibrio, che è esattamente ciò in cui consiste la cooking therapy.
Quello è stato il primo libro capace di farmi piangere, il primo libro a farmi capire il potere terapeutico della cucina, la consapevolezza che si può sviluppare quando ci si dedica con amore alla creazione di qualcosa che può donare a noi e agli altri la felicità.
Molti anni dopo ho scoperto che questa capacità terapeutica della cucina aveva un nome: la cooking therapy.
Cos’è la cooking therapy
È stato provato che la cucina aiuti a superare ansia, depressione, la mancanza di autostima, ma anche i disturbi alimentari e addirittura a ridurre i sintomi di patologie cliniche o deficit momentanei che agiscono sull’area cerebrale del cervelletto, deputata alla coordinazione motoria.
In particolar modo parlo di disturbi cognitivi dovuti a traumi celebrali, demenza, Alzheimer, schizofrenia, sindrome di Down o dismetria del pensiero e ancora deficit di attenzione e concentrazione legate ad autismo o iperattività.
In questi casi la cooking therapy può rappresentare un valido strumento di potenziamento cognitivo e motorio, oltre che di riabilitazione emotiva.
La cooking therapy si basa sulla ripetizione di specifiche attività via via sempre più articolate che permettono poi di realizzare un risultato concreto, che può essere inizialmente una semplice ricetta, fino ad arrivare alla realizzazione di veri e propri menù.
Tutto questo non è una semplice supposizione: parliamo di una ricerca portata avanti grazie alla collaborazione di medici, terapeutici e… chef!
Addirittura è stato creato un vero e proprio protocollo di neuroriabilitazione per i pazienti tramite la cooking therapy.
I benefici della cooking therapy
La cucina è un insieme di diverse operazioni che mantengono in esercizio le aree cerebrali preposte alla programmazione e al coordinamento di movimenti complessi.
Come ha spiegato Antonio Cerasa, che ha pubblicato un intero libro dedicato alla cooking therapy, “Non è un caso che i cuochi professionisti abbiamo alcune aree del cervello particolarmente sviluppate, come avviene per i musicisti o gli scacchisti”.
Studi di neuroimaging mostrano che negli chef c’è un aumento di volume del cervelletto, la parte del sistema nervoso centrale predisposta alla coordinazione motoria.
Proprio perché cucinare beneficia questa specifica area del nostro cervello è una attività particolarmente adatta a tutti coloro che hanno dei deficit cognitivi e motori, oltre che disabilità mentali o disturbi psichiatrici.
Anche chi si ritrova semplicemente a preparare una torta o il pranzo per i propri familiari allena le proprie funzioni cognitive!
Inoltre, per cucinare bisogna pianificare, organizzarsi e svolgere diversi compiti in simultanea: chi trova difficile cucinare ha difficoltà anche a programmare una giornata di lavoro.
Cucinare fa bene all’anima
Che cucinare faccia bene all’anima per me è una certezza.
Nel corso di uno dei periodi più bui della mia vita ho trovato nella cucina una terapia davvero efficace.
In quel periodo i momenti dei pasti (quando mi ricordavo di farli) erano più che altro una seccatura: prepararmi da mangiare mi sembrava una perdita di tempo, anche se di tempo ne perdevo a bizzeffe!
Cucinare (se così si può definire quel poco che la mia apatica pigrizia mi permetteva di fare) era una di quelle attività che facevo distrattamente, un’altra attività grigia nelle mie giornate grigie.
Un giorno, non so neanche io perché, mi è venuta voglia di pasta al ragù. Forse perché fin da piccoli ci imprimono l’idea delle tagliatelle al ragù come il piatto che incarna perfettamente il calore della famiglia e forse quel giorno sentivo particolarmente il vuoto lasciato dalla mia situazione familiare.
Forse quel giorno avrei desiderato con tutto me stesso non ritrovarmi solo al tavolo… o forse avevo semplicemente voglia di carne! Chi lo sa!
Fatto sta che per la prima volta ho scelto con cura la cipolla, ho preso il tagliere e ho cominciato a tritarla. L’odore forte e il bruciore degli occhi mi hanno invaso tutto il corpo, come fossero una forte scossa elettrica che risveglia da uno stato di sonno profondo.
Quello scossone, quei profumi, quelle lacrime (da cipolla non di tristezza!), sono stati per la prima volta, dopo tanto tempo, delle sensazioni vivide, non più grigie e sbiadite.
Tritati anche la carota e quel gambo (non proprio freschissimo) di sedano che avevo trovato in frigo, ho messo tutto in pentola per il soffritto.
Dopo pochi minuti è cominciato lo sfrigolio dell’olio e un profumo di felicità ha riempito la cucina, che da tempo era sempre troppo vuota e silenziosa.
In quel momento ho capito che un giorno avrei avuto una famiglia tutta mia con cui cucinare, con cui sedermi a tavola, con cui scherzare, con cui condividere i profumi e i sapori del cibo.
Una volta pronto il mio piatto di tagliatelle (che in realtà erano degli spaghetti) ho realizzato che ero riuscito a fare una cosa che non avrei mai neanche immaginato di voler fare fino a qualche ora prima.
Eppure l’avevo fatto.
Certo, non era quello che si definirebbe un piatto da chef, ma in quel momento quegli spaghetti un po’ troppo al dente con quel ragù improvvisato mi riempivano di orgoglio.
“Alla fine quando mi metto in testa qualcosa la riesco a fare” avevo pensato.
In quel periodo mettermi ai fornelli, anche solo per fare un semplice sugo o delle banali polpette, si è rivelata la miglior terapia per me: niente come cucinare mi dava fiducia in me stesso.
Creatività, piacere e rigore si mescolavano nella mia mente, era come bere un cocktail di endorfine.
Ammetto che non mi sono mai cimentato in ricette troppo complicate, mi piacciono le cose semplici: mi piaceva fare l’impasto e guardarlo lievitare, mi piaceva il profumo del pane che cuoce e il rumore della crosta croccante.
Tutte cose molto semplici, perché alla fine sono proprio quelle le cose più belle della vita!
Cos'è la Cooking therapy?
Il gioco dei 5 sensi
Antonio Cerasa spiega “La cucina è un’attività ripetitiva e per questo rassicurante, che ci permette di assistere alla trasformazione della materia; lavorare un impasto e poi metterlo a lievitare è un efficace antidepressivo, e i gesti ripetitivi della cucina hanno un effetto calmante”.
Ovviamente la stessa cosa vale anche per altre attività, ma grazie al coinvolgimento dei cinque sensi la cucina diventa uno dei più potenti strumenti per la costruzione della propria consapevolezza e del proprio benessere.
Dal mettere le mani in pasta, che coinvolge il tatto, al rumore ritmico di un soffritto (che stimola l’udito), ai colori degli ingredienti freschi (la vista) fino ai profumi e ai sapori, la cooking therapy ci aiuta a risvegliarci dalla nebbia emotiva, spirituale e psicologica.
Non importa se la ricetta riesce perfettamente: sbagliando si inventa!
Ad esempio, essendo il senso dell’olfatto spesso legato ai ricordi d’infanzia, la cucina diviene particolarmente importante per le persone con Alzheimer, per cui spesso gli odori sono un legame con la propria storia personale.
Infine non bisogna scordarsi che cucinare per qualcuno significa lavorare per la sua felicità: un potentissimo mezzo terapeutico!
Cucinare per qualcuno come atto di amore
Cucinare per qualcuno è uno degli atti di amore più viscerali che esistono.
È un gesto d’amore consapevole che però richiama la potenza di un istinto animale, lo stesso che può avere una madre che fa di tutto per sfamare il proprio figlio.
Cucinare per qualcuno significa voler appagare tutti i bisogni della persona che amiamo, anche i più istintivi, e trasformarli in una fonte di piacere, in un momento di condivisione, di scambio, di gioco, di amore.
Quando cucino per mia moglie è come se volessi ricordarle quanto la amo, è la mia silenziosa promessa che non ha bisogno di parole.
Cucinare, così come amare, richiede passione, creatività e attenzione alle piccole cose, come in una relazione duratura.
La bontà di un piatto è fatta di piccole accortezze: fare un trito sottile, non far bruciare nulla, assaggiare, aggiungere la giusta dose di sale…
Un equilibrio di sapori si raggiunge a tentativi, così come l’equilibrio di un amore.
La cura che si mette quando si cucina per qualcuno è la miglior metafora della nostra quotidiana volontà di rendere l’altro felice.
Come dice Fabrizio Caramagna:
“Ci sono certe sere dei “Vieni, ho cucinato per te”, che valgono tutti i quadri del Louvre.”
Vi auguro di trovare nella cucina il vostro ingrediente segreto della felicità!
A presto, Leonardo Leone